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I primi tentativi di bonifica delle paludi pontine

A tentare opere di bonifica parziale dall’epoca medievale furono i religiosi. Alcuni monaci, seguaci di San Lidano ci provarono ai piedi dei Monti Lepini, sotto Sezze. Più tardi saranno i cluniacensi a realizzare altre canalizzazioni parziali, più o meno nella stessa zona. I cistercensi, nelle loro opere di canalizzazione che realizzarono, diedero vita al Fosso Nuovo, che ha dato il nome alla contrada di Fossanova, in cui sorge la storica Abbazia e che oggi è uno dei borghi più belli dell’intera provincia. Con il consolidamento del possesso della Chiesa sull’Agro, molti pontefici si dedicarono a tentativi di liberare tanto territorio dalle acque per estendere ancora di più i loro domini: Bonifacio VIII nel 1294, Martino V dal 1417, e poi Alessandro VII, Innocenzo XI e Clemente XI. Alcuni di questi Papi riuscirono a far realizzare opere sul territorio, mentre altri si limitarono a far preparare studi da esperti di alto livello, anche da ingegneri idraulici stranieri. Papa Sisto V fu quello che più di tutti si distinse facendo un’opera che è rimasta ancora oggi: l’omonimo fiume Sisto.

C’è un altro pontefice che ha lasciato nella storia della bonifica ampia traccia di sé è, cioè Pio VI Braschi, che fece esaminare tutti i progetti sulle paludi e sui tentativi di prosciugarle. Chiese al cardinale Boncompagni, dell’Azienda delle Acque della provincia di Bologna, di ingaggiare il migliore degli idraulici per poter completare finalmente la bonifica tentata ripetute volte dai suoi predecessori ma riuscita solo in maniera molto parziale. La scelta del cardinale cadde sul bolognese Gaetano Rappini, che, ricevuto l’incarico, volle visitare subito le paludi sia per accertare le cause delle inondazioni, sia per studiarne i mezzi per il risanamento e calcolare quanto sarebbe venuta a costare l’intera operazione. Papa Pio VI, in previsione delle eventuali complicazioni di ordine amministrativo, nominò quale commissario legale l’avvocato Giulio Sperandini, con facoltà altissime compresa quella di procedere anche contro ecclesiastici. Allo Sperandini vennero associati, il notaio Gaspare Torriani, il geometra Angelo Sani ed il perito Benedetto Talani. Gli ampi e costosi lavori hanno impegnato per svariati anni oltre tremila operai. La bonifica di Pio VI iniziò nell’autunno del 1777 ottenendo come risultato il recupero della possibilità di transito sulla via Appia e realizzò un’altra opera rimasta fino ad oggi e base degli appoderamenti novecenteschi: le migliare. Si tratta di un sistema di strade e canali ortogonali all’Appia che consente e facilita l’antropizzazione. L’opera continuò con la messa a dimora di pini e di pioppi in serie per ombreggiare e consolidare le banchine del rettifilo e così si cominciò a ripopolare la zona.

Oltre alla riscoperta e alla riattivazione dell’Appia, abbandonata per essere intransitabile dall’VIII secolo, il nome di Papa Angelo Braschi è legato anche al canale, a cui fu dato il nome di Linea Pio, che fiancheggia la fettuccia. Iniziato nell’estate del 1778 fu completato dopo oltre tre anni, per una lunghezza complessiva di 21.539 metri. Nonostante tutte le precauzioni prese, anche dal punto di vista legale, l’opera di Pio VI non ebbe il consenso dei Comuni e dei privati: questi traevano laute fonti di guadagno dalle peschiere costruite sui canali, che impedivano il regolare deflusso delle acque, provocando allagamenti nei campi.